Resta viva un'opera d'arte quando è in grado di comunicare nel tempo oltre l'intenzione iniziale che la mise in essere.
Mi carico il cuore adesso di una bellissima poesia di Claudio Moica, il poeta che canta il "fuoco" nella raccolta " La solitudine degli elementi" e non posso non vedere quanto ci sia nelle sue parole di me che ho dipinto " ...e la terra sogghigna " con diversi intenti espressivi diversi anni fa, ma leggere Moica rinnova i miei intenti, come una che ha sempre guardato la terra dall'angolazione della sua statura e improvvisamente può guardarla da un'altra angolazione.
Solo un soldo
Ho coltivato una voce muta
pianto disteso sotto il ciliegio
e un'eclisse di voli alti
riflessa tra cave di pietre.
Controllo il respiro spento
decompongo i sassi sparsi
accarezzo le fredde rotondità
mentre perdo i ricordi.
Eri nel fiume asciutto
trattenuta negli argini dei desideri
come passaggio di barche solitarie
nelle nebbie dei giorni persi.
Come bufera senza vento
hai rovesciato il mare silenzioso
senza curarti del cielo
senza cancellare le orme dei corvi.
Un tempo sarò albero spoglio
senza rami protesi come artigli
protetto da querce dimenticate
e mura sbucciate di vita tardiva.
Getta una moneta nel cappello
un soldo al buffone di corte
niente applausi, niente spettatori
solo urla nel deserto della paura.
Claudio Moica
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mercoledì 19 giugno 2024
IL PUZZLE
diamo di noi parti importanti.
Sta a chi ci ama ricomporre
la nostra autentica essenza
ricomponendo i pezzi del nostro enigma.
Tuttavia ciascuno di noi ha spine dolorose personali
che spesso impediscono di concederci totalmente.
Nessuno così potrà risolvere il puzzle,
spesso a danno di noi stessi.
Shikanu'
olio su tela 50X70 Spargimi di te
ispirata dalla poesia di Claudio Moica che lo ha scelto come immagine di copertina del suo libro dallo stesso titolo
Saper guardare e saper vedere non sono la stessa cosa
Ho provato pochi giorni fa a fare una piccola ricerca, fra le persone che ho incontrato, per vedere in quanti fossero al corrente della differenza che passa fra il significato delle parole " guardare" e "vedere" e sono arrivata alla conclusione che in tanti credono, erroneamente, che il significato sia lo stesso, mentre altri ne invertono l'attribuzione.
Guardare significa indirizzare lo sguardo in una direzione senza essere necessariamente in grado di notare quello che rientra nella visuale. Vedere, invece, significa notare qualcosa di preciso nella visuale del proprio sguardo.
Vedere, così come osservare, significa focalizzare lo sguardo su qualcosa, notare e vedere in dettaglio una determinata cosa.
Guardare, quindi, è la funzione passiva dell'occhio, vedere è la funzione attiva.
Un artista che non ha la capacità di vedere difficilmente sarà capace di trasmettere l'onda emotiva che ha suscitato in lui l'incontro con qualcosa che ha attraversato il suo sguardo.
Le cose, non sono solo fatte di massa e materia, sono fatte anche di luci, di forme e di ombre mutevoli ad ogni alito di vento, ad ogni vicinanza con altre cose, ad ogni passaggio di nubi e tante altre varianti che non intendo elencare qui ed ora.
Quello che voglio dire qui, invece, è che questa capacità di posare lo sguardo in modo attivo è più che evidente se si osservano le "Agavi" di Stefano Masili.
Non c'è ossessività nelle sue opere allo stesso modo di come non c'è ossessività in natura.
Nessuna pianta di Agave è uguale a un'altra così come nessun volto umano è uguale a un altro.
Quello che colpisce delle sue opere dedicate a questa nobilissima pianta è la capacità dell'artista di vedere la luce che di volta in volta su essa si posa dando vita a contrasti mozzafiato; di vedere la drammaticità delle foglie caduche marcescenti in contrapposizione con le nuove germinazioni, come a sottolineare la ciclicità incessante della vita e della morte; la capacità di vedere che il verde delle "Agavi" sa farsi turchese e che le sue punte sanno incurvarsi fino a evocare gli artigli di un rapace feroce avvinghiato alla roccia o emulare dita di mani protese al cielo; la capacità di vedere le texture che la natura disegna intrecciando grovigli dal fascino misterioso.
Stefano Masili sa vedere questa danza della natura e la trasporta nelle sue opere perché anche altri imparino a vedere oltre lo sguardo fra le cose solo apparentemente banali e lo fa con una tecnica tutta sua, frutto di anni di ricerca dove i colori e i supporti aggiungono allo spettacolo naturale altra materia del tutto nuova per le agavi che si fanno così ruvide e impenetrabili come gli affreschi.
Se grandi poeti come Bartolo Cataffi, Primo Levi e Federico Garcia Lorca hanno cantato questa pianta, evidentemente ha qualcosa di emozionante per chi non si limita a guardare e allora mi
piace immaginare Eugenio Montale che in quel mondo dove è voluto andare ( come direbbe Beppe Costa ) non si dispiace affatto se io adesso dedico a Stefano Masili un estratto da una delle sue più belle poesie.
L'agave su lo scoglio
Scirocco
O rabido ventare di scirocco
che l’arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d’una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci-ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell’aria
ora son io l’agave che s’abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d’alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento
d’ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento.
(da Eugenio Montale, Ossi di seppia; Meriggi e ombre)
Guardare significa indirizzare lo sguardo in una direzione senza essere necessariamente in grado di notare quello che rientra nella visuale. Vedere, invece, significa notare qualcosa di preciso nella visuale del proprio sguardo.
Vedere, così come osservare, significa focalizzare lo sguardo su qualcosa, notare e vedere in dettaglio una determinata cosa.
Guardare, quindi, è la funzione passiva dell'occhio, vedere è la funzione attiva.
Un artista che non ha la capacità di vedere difficilmente sarà capace di trasmettere l'onda emotiva che ha suscitato in lui l'incontro con qualcosa che ha attraversato il suo sguardo.
Le cose, non sono solo fatte di massa e materia, sono fatte anche di luci, di forme e di ombre mutevoli ad ogni alito di vento, ad ogni vicinanza con altre cose, ad ogni passaggio di nubi e tante altre varianti che non intendo elencare qui ed ora.
Quello che voglio dire qui, invece, è che questa capacità di posare lo sguardo in modo attivo è più che evidente se si osservano le "Agavi" di Stefano Masili.
Non c'è ossessività nelle sue opere allo stesso modo di come non c'è ossessività in natura.
Nessuna pianta di Agave è uguale a un'altra così come nessun volto umano è uguale a un altro.
Quello che colpisce delle sue opere dedicate a questa nobilissima pianta è la capacità dell'artista di vedere la luce che di volta in volta su essa si posa dando vita a contrasti mozzafiato; di vedere la drammaticità delle foglie caduche marcescenti in contrapposizione con le nuove germinazioni, come a sottolineare la ciclicità incessante della vita e della morte; la capacità di vedere che il verde delle "Agavi" sa farsi turchese e che le sue punte sanno incurvarsi fino a evocare gli artigli di un rapace feroce avvinghiato alla roccia o emulare dita di mani protese al cielo; la capacità di vedere le texture che la natura disegna intrecciando grovigli dal fascino misterioso.
Stefano Masili sa vedere questa danza della natura e la trasporta nelle sue opere perché anche altri imparino a vedere oltre lo sguardo fra le cose solo apparentemente banali e lo fa con una tecnica tutta sua, frutto di anni di ricerca dove i colori e i supporti aggiungono allo spettacolo naturale altra materia del tutto nuova per le agavi che si fanno così ruvide e impenetrabili come gli affreschi.
Se grandi poeti come Bartolo Cataffi, Primo Levi e Federico Garcia Lorca hanno cantato questa pianta, evidentemente ha qualcosa di emozionante per chi non si limita a guardare e allora mi
piace immaginare Eugenio Montale che in quel mondo dove è voluto andare ( come direbbe Beppe Costa ) non si dispiace affatto se io adesso dedico a Stefano Masili un estratto da una delle sue più belle poesie.
L'agave su lo scoglio
Scirocco
O rabido ventare di scirocco
che l’arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d’una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci-ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell’aria
ora son io l’agave che s’abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d’alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento
d’ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento.
(da Eugenio Montale, Ossi di seppia; Meriggi e ombre)
shardana
Shardana, una delle canzoni tratte dall'album "Credimi" di Capitano, album che nasce dalla collaborazione fra il compositore e l'autrice-pittrice Shikanu' che ha tradotto in versi ciò che Capitano intendeva comunicare con la musica, la trovate seguendo il link sotto
https://youtu.be/9sGp6sdLMdc?si=fqnP0KapZL861E2h
Spargimi di te
Edita dalla Pettirosso Editore, con prefazione di Salvatore Contessini e postfazione di Shikanu' che ha realizzato anche l'immagine di copertina, esce la nuova raccolta di poesie, dedicate alla donna, dello scrittore Claudio Moica

Vincitore di diversi premi letterari
Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana per meriti socio-culturali.

Vincitore di diversi premi letterari
Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana per meriti socio-culturali.
Arte Classica e Arte Moderna, una vale meno dell'altra?
Arte Classica e Arte Moderna una vale meno dell’altra?
Pungolata da un amico che, parlando di gradimento musicale
di massa confrontato col gradimento di nicchia, faceva un parallelo con l’arte
moderna, desidero qui esprimere il mio parere che ovviamente non costituisce
una verità assoluta, ma può aiutare a capire chi sono e come penso.
Diceva, giustamente, che la conoscenza aiuta le emozioni.
Per rafforzare questa sua affermazione raccontava che per
lui era stato così quando si era approcciato all'arte moderna.
Non riusciva ad apprezzarla, si annoiava di fronte a delle
forme che pensava, sarebbe riuscito a disegnare anche da bambino.
Cito le sue testuali parole:
…” quando ho capito
esteticamente il movimento fatto dall'arte di quel periodo, quel dichiarare la
forma, quella rivendicazione delle forme rispetto all'imitazione del mondo -
che allo stesso tempo alza la questione: e se le forme avessero più realtà
dell'immagine nel suo complesso? - quel movimento dell'arte che rivendica la
sua presenza anziché nascondersi dietro
alle immagini riconoscibili: ecco, è stato lì che in due ore al museo ho
visto solo una decina di quadri di Klee perché non riuscivo più a lasciarli...
e li ho dovuti lasciare perché i responsabili mi hanno spento le luci e
minacciato di chiudermi dentro”.
Il suo discorso mi è piaciuto, meno nel punto che ho
sottolineato in grassetto “anziché nascondersi dietro alle
immagini riconoscibili”.
Non mi è piaciuto perché sono convinta che l’arte sia palese
sempre quando c’è e non ha bisogno di nascondersi dietro alle immagini
riconoscibili e tanto meno perde di spessore quando alla realtà si ispira.
Sono una che ama lo stile e poco m’importa come si ottiene.
Amo lo stile di Roberto Ferri e amo lo stile di Francesco
Dau.
Amo lo stile di Stefano Masili e amo lo stile di Fabio
Mariani.
Amo lo stile di Elisabetta Fontana e amo lo stile di
Tiepolo.
Ogni immagine d’arte ha sempre un significato e un
significante e non può dirsi certo mera imitazione della realtà riconoscibile
ma caso mai reinterpretazione della stessa avendo sempre un piano plastico e un
piano espressivo ed essendo sempre portatrice di segno.
Il segno è appunto la relazione che attraversa sia il
significato sia il significante di un’opera.
Il significato è l’idea o se preferite il concetto di
qualcosa, di qualcuno o di un’azione mentre il significante è esattamente ciò
che esprime quel concetto o quell'idea.
I significanti possono essere simboli convenzionali, icone
stilizzate, indici di qualcosa ecc.
L’aureola sopra la testa dei Santi per esempio è un simbolo
convenzionale non è certo una realtà palese e i simboli convenzionali non sono
certo nati dall'osservazione della realtà ma caso mai dall'idea del primo
artista che ha interpretato il concetto astratto di santità.
Noto con molto disappunto che tanti utilizzano come metro
per un’analisi differenziale fra arte classica e arte moderna la questione
della spontaneità come se davvero chi fa arte moderna fosse mosso dall'istinto
dietro incitazioni del pensiero critico e chi invece ha fatto arte classica si
fosse limitato a un tecnicismo preconfezionato e dietro commissione spinta fino
ai dettagli.
Chi ha fatto arte classica non ha copiato la realtà, caso
mai l’ha osservata attentamente e l’ha reinventata.
Sia nell'arte classica sia nell'arte moderna il successo di
un artista dipende dalla sua capacità di farsi osservare.
Molti, oserei dire troppi, sedicenti artisti di arte moderna
pretendono invece di sfidare continuamente il pubblico a capire dove sta il
gesto tecnico e il gesto spontaneo, togliendo all'arte il ruolo di messaggera
di qualcosa, sia un’idea concreta o un’astrazione per farla diventare una
provocazione fine a se stessa.
In pratica non cercano chi li osservi ma chi reagisca e poco
importa se sono reazioni negative.
Quando ci incantiamo davanti alla Pietà di Michelangelo, lo
stupore della perfezione quasi ci paralizza mentre se guardiamo il Palloncino
rosso di Klee di primo acchito, ci viene da pensare che avremmo potuto farlo
noi stessi quando eravamo bambini.
Paragonato questo concetto alla musica (per stare nello
stile del mio amico), ho immaginato di ascoltare la Cavalleria Rusticana del
Mascagni a occhi chiusi immaginando una scena e godendone intensamente, mentre
se ascolto un’improvvisazione jazz, posso pensare che posso provare a suonare a
mia volta se conosco due note.
Questo ragionamento, ovviamente, non vuole togliere nulla a
Klee e neppure alla musica jazz, ma vuole sottolineare le possibili varianti
emozionali di fronte alle diverse forme d’arte che per alcuni potrebbero anche
essere invertite.
Ecco perché, tornando all'arte mi infastidisce il ragionamento che vuole esaltare le creazioni moderne cercando di buttare fango sui fari di quella classica con frasi fatte
del tipo “copiavano la realtà” o
“dipingevano su commissione” come se la spontaneità fosse l’unico vero indice
per definire un artista e si storce il naso davanti al segno dotto e progettato come
se fosse solo portatore di falsità o di emulazione anacronistica.
In realtà sia l’arte classica quanto l’arte moderna
dovrebbero avere un solo metro di giudizio che a mio avviso è la
riconoscibilità di uno stile proprio, sia che si voglia trasmettere una realtà
oggettiva sia che si voglia esprimere un concetto astratto, sia che si voglia
solo provocare.
L’osservatore attento deve poter riconoscere un artista dal
suo inconfondibile stile e poco importa se riesce ad averne con gesti spontanei
o con gesti programmati.
Purtroppo in tanti confondono proprio quest’aspetto.
La rappresentazione soggettiva, che determina lo stile, non
è sinonimo d’istinto o di spontaneità.
Altro errore comune è credere che l’arte moderna debba
passare per forza dalla sperimentazione materica e non dalla possibilità di dire una cosa già detta in un
modo del tutto nuovo.
La verità è che il pubblico moderno non ha il coraggio di
esprimere le proprie sensazioni di fronte a un’opera per timore di apparire anacronistico
o ignorante.
Concludo dicendo che l’Arte con l’A maiuscola è il fine
ultimo del gesto e del segno, mentre la tecnica, l’istinto, le materie scelte e
la stessa provocazione non sono altro che il mezzo.
Non c’è differenza alcuna fra Arte Moderna e Arte Classica
perché ciascuna esprime lo spirito del suo tempo.
L’Arte è tale sempre e comunque quando provoca un’emozione.
Shikanu'
L'arte dice o non dice?
Che cosa vede un cieco che è nato senza il nervo ottico?
Vede la stessa cosa che tutti vedono con un ginocchio.
Niente!
Non buio, non ombre, niente!
Quelli che invece possono guardare vedranno il risultato
dello scontro fra la luce e gli oggetti capaci di rifletterla.
Ricordo una pittrice (non artista), rimase più di un’ora a
bocca spalancata davanti a dei bicchieri che avevo disegnato.
Mi chiese, dove avessi comprato il colore trasparente
dimostrandomi che non solo non aveva cercato di capire il “non detto”, ma non
era stata neppure capace di vedere quello che stava guardando.
Quando si parla di dono della rivelazione artistica, lo capisco
bene, ma il dono vale se c’è chi può accoglierlo e vale sia si tratti di arte
descrittiva sia si tratti di arte astratta.
Dico “astratta” di proposito perché ho idea che si confonda
fra questa e l’arte moderna e si storce il naso in genere parlando di arte figurativa come se le due cose non fossero
compatibili.
Non è vero che nell’arte moderna non c’è la rappresentazione.
L’arte moderna è piena di figurativo!
La stilizzazione della realtà resta comunque arte
figurativa!
La questione imitazione non può essere considerata esclusiva
dell’arte classica giacché nell’arte contemporanea possiamo notare comunque
temi e segni presi in prestito dalla realtà e l’arte astratta non è immune
dalla questione imitazione poiché in natura esiste già una sequenza di punti
facilmente riconducile a qualsiasi creazione astratta.
Mirò ha fatto arte astratta eppure qualsiasi persona abbia
giocato con il microscopio sa bene da dove egli ricavò certe forme.
Kandinsky? Ancora più facile: basta aprire un libro di
geometria piana.
Mi piace prendere in prestito una frase estrapolata da “ Altre
forme di vita” dei Bluvertigo:
“in altre zone di questo universo
è facile da realizzare
che esiste tutto ciò che io non riesco
ancora ad immaginare “
Il dono della rivelazione artistica non si rivela senza la
sensibilità di chi dovrebbe riceverlo allo stesso modo di come un ginocchio non può vedere né buio né ombre.
Ad alcuni queste mie posizioni appaiono come un tentativo di
difendere l’arte Classica, come se più volte non avessi citato artisti moderni
non figurativi che stimo molto.
Ho solo voluto smontare dei luoghi comuni che non
appartengono all’arte se non nelle elucubrazioni contorte di molti artisti che
pretendono di possedere più consapevolezza di chi li ha preceduti.
Abbiamo parlato di scarto fra ciò che fa l’artista, ciò che
è l’arte e ciò che gli altri vedono e pensano.
Lo scarto esiste anche fra ciò che fa l’artista e ciò che
lui è e fra ciò che gli altri vedono e pensano e ciò che loro sono, fra ciò che
loro guardano e ciò che sono capaci di vedere ma anche fra ciò che pensiamo sia
l’arte e ciò che dovrebbe essere.
C’è poi la questione che pone il dubbio se l’arte “dice” o “non
dice”:
L’arte dice eccome!
I linguaggi non sono solo verbali, un muto questo lo sa bene
e usa il linguaggio dei gesti.
I linguaggi convenzionali e universalmente riconosciuti sono
certo più immediatamente fruibili e tuttavia pure loro si prestano a incomprensioni
e fraintendimenti.
Se allargo le braccia a un amico che mi viene incontro non
sto solo mostrando due braccia allargate, sto anche dicendo che sono felice di
vederlo, che lo amo e che lo voglio accogliere nella mia vita…eppure non ho
parlato!
Nessuno ad oggi può dare una definizione esatta di cosa sia
l’arte perché è un concetto astratto che, come tutte le astrazioni, è
teorizzabile e mutabile a piacimento pertanto non è corretto asserire che l’arte
descrittiva non può definirsi arte.
Un romanzo è descrittivo e non è forse arte?
Il canestro di frutta di Caravaggio è descrittivo è non è forse un’opera d’arte?
Un romanzo è descrittivo e non è forse arte?
Il canestro di frutta di Caravaggio è descrittivo è non è forse un’opera d’arte?
Gli artisti mostrano quello che non si può dire ma anche
quello che non si riesce a dire diversamente o anche quello che rafforza un già
detto.
Chi ha pensato con Caravaggio o con l’avvento della fotografia
che l’arte “ figurativa” fosse finita perché troppo “descrittiva” a mio avviso,
essendo le cose fatte non solo di forma e luce ma anche di sostanza e odori e
vibrazioni, ha pensato male.
Una mela su un tavolo è diversa nelle diverse ore della
giornata, è diversa se la guardo io o se la guarda un bambino che arriva a
malapena al livello del tavolo, ancora diversa se la guarderà una mosca.
Il fattore imitativo non implica “dire il dato” ma dire come
soggettivamente l’ho visto e interpretato.
L’arte descrittiva non si esaurirebbe nell’oggetto descritto
se guardandola non ci si limitasse a guardare ma ci si sforzasse di vedere.
Chi guardando delle agavi nel belvedere di Nebida vedesse
solo delle piante grasse ingombranti che impediscono allo sguardo di
raggiungere la laveria Lamarmora, probabilmente non si emozionerebbe guardando
le agavi di Masili, oppure può darsi che l’esaltazione delle luci date dal
Masili, in contrapposizione con materie prime opache, risvegli i distratti al
punto che alla prossima gita a Nebida bisognerebbe rimuovere i destinatari
della rivelazione artistica col carro attrezzi perché la contemplazione delle
agavi è diventata virale.
Tornando all’idea delle braccia aperte :
se allargo le braccia a un amico che mi viene incontro non
sto solo mostrando due braccia allargate, sto anche dicendo che sono felice di
vederlo, che lo amo e che lo voglio accogliere nella mia vita…può anche darsi
che l’amico interpreti il mio gesto come la mia intenzione di invadere la sua privacy
o che volessi sottolineare quanto lo trovassi ingrassato : tutto dipende da chi
fa il gesto e da chi lo guarda, nella vita come nell’arte.
Shikanu'
Shikanu'
Danza Onirica
La “ Danza Onirica” è intesa non solo come attività
involontaria durante il sonno ma come una sorta di macchina del tempo capace di
escursioni fra emozioni che attingono a volte dal passato a volte dal futuro
sognato e sperato ma soprattutto temuto.
Stavolta senza intenzione di indagare i coni d’ombra ma col
desiderio di fermare, per condividerle, le idee scaturite dalla frenetica danza
dei pensieri, con una tecnica del tutto nuova per l’artista che si accosta per
la prima volta alla magia dei gessetti.
Padrino d’eccezione sarà il poeta Claudio Moica che già in
passato ha scelto l’artista per la realizzazione delle immagini di copertina
dei suoi libri.
La Rassegna è curata da Salvatore Filia e patrocinata dal Comune di Carbonia.
http://www.shikanu.com
Contraddizioni di un uomo
Claudio Moica,
il noto poeta di "Spargimi di te",
torna a sorprenderci con un romanzo dal titolo "Contraddizioni di un uomo", edito dalla Pettirosso.
Il romanzo, che si snoda attraverso il punto di vista del protagonista, analizza le dinamiche della vita affettiva di un giovane uomo che deve scontrarsi, suo malgrado, contro le problematiche esistenziali che hanno in qualche modo condizionato le scelte di vita delle donne che incontra.
Parallelamente alle vicende sentimentali, si sviluppa la carriera lavorativa del giovane che evidenzia la sua capacità di determinazione in netto contrasto con la sua fragilità nei rapporti con l'altro sesso.
Da leggere assolutamente per lo stile narrativo, che racchiude autentiche perle di poesia, vero talento di Moica per il quale è già noto e stimato, e per i numerosi spunti di riflessione sulle nostre stesse condizioni esistenziali che spesso ci spingono a considerare felici e senza problemi coloro che hanno raggiunto traguardi occupazionali soddisfacenti, come se questo li esentasse dal difficile intrigo che si incontra quando ci si addentra nella trama della vita altrui.
Shikanu'
Trovate nei link suggeriti dal mio sito il collegamento alla casa editrice Pettirosso presso la quale potete ordinare il romanzo.
immagine di copertina di Shikanu'
PIANTO BAMBINO
Fantasie
che mi sovrastano
lasciano segni che
non so più togliere
come un'insegna ormai
di questo vivere
io mi trascino via
senza più chiedere
guardi tu
senza vederle mai
lacrime inutili
se tanto non ci sei
Gelosie
straziano l'anima
con gli occhi languidi
che ho visto
prenderti
Dentro i tuoi alibi
non c'è la verità
ma solo farse che
non sai più reggere
Scegli dai
non è possibile
che mi fai vivere
d'ansia ingestibile
e rimango abbracciata al cuscino
aspettando carezze ed aurore
a che serve il mio pianto bambino
se non togli le spine dal cuore?
Destano
complessi atavici
le scuse misere
che mi deludono
credevo fossi un dio e invece
illudi tu come fa un demone
che vuole l'anima
Cosa dai
di tutto quel che è tuo?
Soltanto briciole
che non mi sfamano
mai
e rimango abbracciata al cuscino
aspettando carezze ed aurore
a che serve il mio pianto bambino
se non togli le spine dal cuore?

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