domenica 29 dicembre 2013

Saper guardare e saper vedere non sono la stessa cosa

Ho provato pochi giorni fa a fare una piccola ricerca, fra le persone che ho incontrato, per vedere in quanti fossero al corrente della differenza che passa fra il significato delle parole " guardare" e "vedere" e sono arrivata alla conclusione che in tanti credono, erroneamente, che il significato sia  lo stesso, mentre altri ne invertono l'attribuzione.
Guardare significa indirizzare lo sguardo in una direzione senza essere necessariamente in grado di notare quello che rientra nella visuale. Vedere, invece, significa notare qualcosa di preciso nella visuale del proprio sguardo.
Vedere, così come osservare, significa focalizzare lo sguardo su qualcosa, notare e vedere in dettaglio una determinata cosa.
Guardare, quindi, è la funzione  passiva dell'occhio, vedere  è la funzione attiva.
Un artista che non ha la capacità di vedere difficilmente sarà capace di trasmettere l'onda emotiva che ha suscitato in lui l'incontro con qualcosa che ha attraversato il suo sguardo.
Le cose, non sono solo fatte di massa e materia, sono fatte anche di luci, di forme e di ombre mutevoli ad ogni alito di vento, ad ogni vicinanza con altre cose, ad ogni passaggio di nubi e tante altre varianti che non intendo elencare qui ed ora.
Quello che voglio dire qui, invece, è che questa capacità di posare lo sguardo in modo attivo è più che evidente se si osservano le "Agavi" di Stefano Masili.
Non c'è ossessività nelle sue opere allo stesso modo di come non c'è ossessività in natura.
Nessuna pianta di Agave è uguale a un'altra così come nessun volto umano è uguale a un altro.
Quello che colpisce delle sue opere dedicate a questa nobilissima pianta è la capacità dell'artista di vedere  la luce che di volta in volta su essa si posa dando vita a contrasti mozzafiato; di vedere la drammaticità delle foglie caduche marcescenti in contrapposizione con le nuove germinazioni, come a sottolineare la ciclicità incessante della vita e della morte; la capacità di vedere che il verde delle "Agavi" sa farsi turchese e che le sue punte sanno incurvarsi fino a evocare gli artigli di un rapace feroce avvinghiato alla roccia o emulare dita di mani protese al cielo; la capacità di vedere le texture che la natura disegna intrecciando  grovigli dal fascino misterioso.
Stefano Masili sa vedere questa danza della natura e la trasporta nelle sue opere perché anche altri imparino a vedere oltre lo sguardo fra le cose solo apparentemente banali e lo fa con una tecnica tutta sua, frutto di anni di ricerca dove i colori e i supporti aggiungono allo spettacolo naturale altra materia del tutto nuova per le agavi che si fanno così ruvide e impenetrabili come gli affreschi.
Se grandi poeti come Bartolo Cataffi, Primo Levi e Federico Garcia Lorca hanno cantato questa pianta, evidentemente ha qualcosa di emozionante per chi non si limita a guardare e allora mi
 piace immaginare Eugenio Montale che in quel mondo dove è voluto andare ( come direbbe Beppe Costa ) non si dispiace affatto se io adesso dedico a Stefano Masili un estratto da una delle sue più belle poesie.

L'agave su lo scoglio

Scirocco

O rabido ventare di scirocco
che l’arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d’una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci-ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell’aria
ora son io l’agave che s’abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d’alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento
d’ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento.
(da Eugenio Montale, Ossi di seppia; Meriggi e ombre)

lunedì 16 dicembre 2013

rinnovati intenti......

Resta viva un'opera d'arte quando è in grado di comunicare nel tempo oltre l'intenzione iniziale che la mise in essere.
Mi carico il cuore adesso di una bellissima poesia di Claudio Moica, il poeta che canta il "fuoco" nella raccolta " La solitudine degli elementi" e non posso non vedere quanto ci sia nelle sue parole di me che ho dipinto " ...e la terra sogghigna " con diversi intenti espressivi diversi anni fa, ma leggere Moica rinnova i miei intenti, come una che ha sempre guardato la terra  dall'angolazione della sua statura e improvvisamente può guardarla da un'altra angolazione.

Solo un soldo

Ho coltivato una voce muta
pianto disteso sotto il ciliegio
e un'eclisse di voli alti
riflessa tra cave di pietre.

Controllo il respiro spento
decompongo i sassi sparsi
accarezzo le fredde rotondità
mentre perdo i ricordi.

Eri nel fiume asciutto
trattenuta negli argini dei desideri
come passaggio di barche solitarie
nelle nebbie dei giorni persi.

Come bufera senza vento
hai rovesciato il mare silenzioso
senza curarti del cielo
senza cancellare le orme dei corvi.

Un tempo sarò albero spoglio
senza rami protesi come artigli
protetto da querce dimenticate
e mura sbucciate di vita tardiva.

Getta una moneta nel cappello
un soldo al buffone di corte
niente applausi, niente spettatori
solo urla nel deserto della paura.

Claudio Moica

























L'arte informale di Francesco Dau

Se è vero che l’arte informale nasce per dare senso al gesto dell’artista più che all'arte, intesa secondo i canoni classici, se è vero che la scelta del gesto e dei materiali diventa più importante della forma in se stessa, allora Francesco Dau può definirsi a tutti gli effetti un grande artista favorendo la materializzazione delle sue emozioni attraverso una esplosione di colori imprigionati da resine trasparenti in quanto riesce a farci percepire il suo entusiasmo nell'esprimere se stesso senza limitazione alcuna, senza regole imposte da scuole o tradizioni, senza vincoli di pensiero o di stile che possano inibire il libero fluire delle emozioni. L’arte di Dau ci fa entrare in un mondo visionario, dove la ricerca della perfezione cromatica attinge dall’anima e di questa si nutre.
Dove altri, io per prima, cercano con la forma e il significato, Dau  trova nell’oblio di sé e nel rifiuto di ogni condizionamento relativo e in questo sta la sua grandezza.
Rifiutando la plastica della figura, con i possibili agganci al mondo reale, l’artista percorre il sentiero dell’informale, abbandonandosi alla voce della propria coscienza pur mantenendo una coerenza di stile quello appunto inconfondibile che gli è proprio.

Shikanu’

Opera di Francesco Dau

lunedì 9 dicembre 2013

La luna e gli artisti


Chiaro di luna

Che chiaro di luna, dicevano a volte
quando nulla c'era da mangiare e
a fatica si tentava la vita cercandola
fra luci diverse e fasulle
speranza incerta di giorni di luce e pace

che chiaro di luna, che alcuni più guardano
neppure bambini svezzati a giochi crudeli
abituarsi all'ignobile farsa che la vita può darti

che chiaro di luna, amore, ch'ancora oggi noi
di fortuna vediamo, sopraffatti da tempi feroci
alzando lo sguardo ci appare splendore sugli occhi

e traspare, malgrado gli inganni e il fuoco nemico
che spezza  o distrugge, ci lega scavalcando
i tempi e lo spazio

che chiaro di luna, amore,
lontani e uniti guardandola insieme
alla luce che sviene, a quella che arriva con te.

da "Rosso" di Beppe Costa


 "L'unica certezza" disegno gesso e fusaggine su carta Bristol  di Shikanu'